Quando mio marito mi ha proposto di andare in vacanza nella casa di un suo collega a Martha’s Vineyard, una delle isole più posh degli Stati Uniti, dove famiglie come gli Obama e i Clinton hanno delle residenze, non sapevo esattamente come reagire.
Non fraintendetemi: ovviamente l’idea di andare in vacanza in generale era molto allettante, dato che le nostre vacanze in Europa quest anno non sarebbero successe. Ma al contempo, l’idea di spendere del tempo in quello che di solito e’ visto, nella cultura comune, come il posto dei bianchi privilegiati, nel mezzo del movimento Black Lives Matter, mi ha fatto riflettere un poco prima di prendere la macchina e partire.
Questo fino a quando ho fatto un po’ di ricerca su dove effettivamente stavamo andando, e dopo aver parlato con la nostra vicina di casa, una signora sulla cinquantina, di colore, alla quale le si sono illuminati gli occhi alla menzione del villaggio dove saremmo andati. La cittadina dove abbiamo passato la scorsa settimana si chiama Oak Bluffs, ed e’ un posto che ha una certa rilevanza nella storia afro-americana degli Stati Uniti.
Oak Bluffs e’ una delle sei piccole citta’ su Martha’s Vineyard, e originariamente, agli inizi del ‘900, era un villaggio dove coloro che lavoravano sulle baleniere (nella maggior parte schiavi liberi che provenivano dall’Africa occidentale) si stabilirono in epoca coloniale. I capitani delle barche, bianchi, ricchi, avevano invece prediletto Edgartown, l’altra piccola cittadina rinomata di Martha’s Vineyard, che ancora oggi ha case immense, e di stile completamente diverso da quelle di Oak Bluffs.
Con il passare degli anni, durante l’era vittoriana, una comunità Metodista si stabili’ a Oak Bluffs, dove per la maggior parte assisteva a sermoni all’aperto durante l’estate, sotto un tendone di fianco alla chiesa (che e’ tutt’oggi visibile e utilizzato per concerti e spettacoli all’aperto.) Nel 1912 la grande svolta: Charles Shearer, il figlio di una schiava liberata e il suo padrone bianco, trasformo’ la sua casa a Oak Bluffs in un piccolo hotel dove la comunità nera poteva alloggiare (al tempo non erano ammessi in nessun altro hotel), iniziando cosi una tradizione di villeggiatura nera che ancora permane nella citta’ — tanto e’ che Agosto a Oak Bluffs e’ ancora chiamato “Black August.”
Piu’ avanti, negli anni ’50, cio’ che stava succedendo a New York con la Harlem Renaissance ha fatto in modo che Oak Bluffs diventasse il posto di villeggiatura prediletto da parte della comunità nera della costa est (inizialmente, e di tutti gli Stati Uniti in seguito), e dove molti personaggi di spicco come Dorothy West e Adam Clayton Powell spendevano la maggior parte dei mesi estivi.
Ben presto Oak Bluffs si trasformo’ in una sorta di centro letterario e culturale dove la comunità black poteva tranquillamente villeggiare e incontrarsi apertamente in circoli per discutere di politica, sociologia, letteratura, senza subire pregiudizi razziali e segregazionismi (che all’epoca ancora erano in essere.) Questi incontri di altissimo livello culturale, hanno dato il nome alla spiaggia di Oak Bluffs, che viene ancora chiamata Inkwell Beach (tradotto con pozzo d’inchiostro) — sia per via della pelle nera delle persone che frequentavano la spiaggia, che al sole risplendeva come inchiostro, sia per via degli innumerevoli pezzi letterari che sono stati scritti in questo luogo.
Ad oggi, le case abitate originariamente dai metodisti (le cosiddette “gingerbread houses” per via della somiglianza alle case di pan di zenzero) sono passate di generazione in generazione, sono ancora per la maggior parte di proprietà nera, e sono aumentate di valore in maniera incredibile (si parla di un milioncino circa per un cottage): una vera e propria boccata d’aria fresca in un’epoca in cui si dibatte molto sul discorso di “white priviledge.”
Dunque. Dove voglio arrivare con questo post e con queste considerazioni? Inutile nasconderlo: ho passato una settimana in vacanza da bianca privilegiata. Ma al contempo, volevo dare spazio a questo pezzo di storia afro-americana perché questi racconti del passato ci aprano gli occhi sulle differenze, e ci permettano di conoscere una comunità la cui storia viene spesso tralasciata, pregiudicata, criticata senza cognizione di causa. Molto spesso ci si sofferma su dettagli negativi, su storie passate o presenti, che ostracizzano “l’uomo nero” e lo fanno davvero diventare quello terrorizzante della canzoncina della buonanotte “e poi viene l’uomo nero che lo tiene un mese intero.”
Piu’ studiamo, conosciamo, leggiamo e apriamo la mente alle diversità, con la curiosità genuina e innocente di persone che capiscono la loro posizione privilegiata, più apprezziamo, impariamo e combattiamo ingiustizie, razzismo e pregiudizi. E più miglioriamo la societa’ e il mondo in cui viviamo. Il mondo che lasceremo ai nostri figli.
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