“New York è una città di gente che si muove a piedi, in un paese di automobili; New York è una città compressa, in un paese di grandi spazi; New York è una città in cui la gente porta i panni sporchi al lavasecco del quartiere…Noi ci affidiamo ai piedi e al treno, mentre l’America è – prima di tutto, soprattutto e definitivamente – un paese di automobili e lavatrici.”
Questo non è un romanzo, tanto per cominciare. E’ il racconto del ritorno più o meno definitivo di Adam nella sua città del cuore, New York of course. Per di più non è un libro sulle case della Grande Mela, ma sui bambini, i piccoli esseri umani che dalla metà degli anni ’90 hanno cominciato a ripopolare la metropoli più adulta del pianeta.
Dopo alcuni anni passati a Parigi con la moglie e i figli piccoli, Adam Gopnik, critico d’arte del New Yorker (esiste qualcosa di più snob?), prende armi e bagagli e ritorna a Manhattan, che aveva lasciato quando era uno sbarbatello spiantato. Ufficialmente ritorna perché non vuole sottoporre i figli al rigido sistema educativo francese, ma in realtà, diciamo la verità, si è un po’ rotto della puzza sotto il naso dei Francesi e vuole tornare nel marasma postmoderno di New York.
Sorpresa: Times Square non è più, come negli anni ’70, una delle zone più immorali di tutto il paese, ma al contrario un salotto a cielo aperto, turistico e posticcio; Central Park ha abbandonato gli spacciatori latinoamericani per le tate latinoamericane e vivere a Chelsea non significa più girare per gallerie d’arte underground, ma piuttosto fare acquisti nei negozi più cari e fighetti della città.
Detto questo, Adam e moglie non sembrano prendere la cosa in malo modo; al contrario, ora sono genitori e non più tanto giovini, ma in compenso hanno un conto in banca notevole (questo non c’è scritto, l’ho dedotto io) e trovano che l’Upper East Side sia il posto ideale per crescere i figli in un ambiente a misura d’uomo e per niente sopra le righe.
Fino a qui tutto bene, se non fosse che Adam (come ci anticipa velatamente la recensione in copertina) “riesce a trovare un mondo in un granello di sabbia”, eufemismo per “si fa delle pippe mentali non indifferenti”. E’ divertente quando racconta dell’amico immaginario della figlia, tale Charlie Ravioli, sempre assente perché troppo occupato; un po’ inquietante quando interpella su questa faccenda la sorella Alison, a quanto pare stimata psicologa cognitiva, per capire se la bimba abbia qualcosa che non va: ma smettila di fare il papà moderno e lasciala giocare!
Alcune intuizioni e deduzioni sono davvero illuminanti e azzeccate, ma, specialmente nella parte centrale del libro, Gopnik si perde in fisime senza senso, come quella sull’evoluzione sociale di Manhattan, vista attraverso l’analisi dei suoi grandi magazzini.
Più che un affresco della vita newyorchese di inizio millennio, il libro è da prendere come compendio di una serie di stranezze a stento immaginabili, che New York genera a getto continuo. Tre su tutte:
1) La nuova moda del body building super-slow, pratica massacrante che prevede una lezione a settimana di brevissima durata, ma in cui si solleva l’equivalente di un tir, tenendolo sospeso per cinque minuti. Morale? La corsa nel parco è superata e inefficace: solo gli uomini la praticano ancora, mentre le donne (menti eccelse) definiscono i muscoletti con il super-slow in una palestra che sembra un obitorio.
2) La diffusione anche a Manhattan degli switch hotel, enormi stanze che contengono i server di Google, etc…; tutto questo a scapito degli inquilini fighetti dei loft, che si vedono sfrattare a favore di un megacomputer che da solo consuma l’equivalente di dieci famiglie e non è neppure in grado di godersi la vista sull’Hudson.
3) Ma soprattutto la mania dilagante del gioco di società Mafia, in cui una quindicina di creativi manhattiani si ritrova a turno in casa di qualcuno e viene divisa casualmente in due gruppi, la Mafia e gli abitanti del villaggio. Lo scopo degli abitanti è di scovare i mafiosi e farli arrestare, mentre quello dei mafiosi è di nascondersi e eliminare gli avversari. Voi direte, a che pro? Sempre meglio del digitale terreste.
Da leggere durante il volo di ritorno dopo una lunga vacanza a New York, per capire cosa ci si è persi; oppure durante il volo di andata, per capire cosa è meglio perdersi.
Tommaso Brambilla, globetrotter multilingue, si dedica alla scoperta del mondo una citta’ alla volta. Mandate una email all’autore del post all’indirizzo itommi@hotmail.it
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