Come mai hai scelto oltre all’Irlanda anche New York come location?
Perché New York rappresenta l’apice del mondo moderno, l’emblema del progresso. E’ la città che non dorme mai, la città che, meglio di ogni altra, rappresenta il sogno americano, la possibilità di ogni uomo di raggiungere la vetta, contando solo sulle proprie forze.
Penso che nella mentalità collettiva, New York rappresenti al meglio le ricerche scientifiche, l’innovazione tecnologica… la razionalità, insomma. New York non è una città per sogni ad occhi aperti, che non portano a nulla. New York è una città per chi, i propri sogni, li vuole realizzare, con il lavoro, con i soldi, con qualcosa di concreto. Le fiabe e le superstizioni non sono funzionali a concretizzare il sogno americano. Bill Gates o Steve Jobs non hanno costruito imperi sulla base di favolette. Hanno realizzato sogni, certamente, ma lo hanno fatto con un metodo, con una razionalità, con la tecnologia e l’informatica.
New York é il treno del progresso, inarrestabile nella sua corsa, e si contrappone ad un antico passato, meno fastoso e meno spettacolare, lentamente in declino. Questo passato, ancora appoggiato sulle tradizioni e sul folklore, è rappresentato, ovviamente, dal piccolo e sonnolento villaggio irlandese di Ravenbourgh.
Lo zio di Josh, Paddinghton, è colui che ha fatto il grande salto dal passato al presente. Ha abbandonato Ravenbourgh per intraprendere una carriera abbastanza brillante a New York e ha sostituito con le partite di baseball e la pay-tv le leggende fantastiche della sua terra, cui, invece, è ancora molto legato Conor, il padre di Josh.
Cosa ti piace di più di New York?
Ho avuto la fortuna di trascorrere due fantastiche settimane a New York e, sicuramente, sono rimasto colpito dalla sua incredibile vivacità. Quando si definisce New York come “la città che non dorme mai”, non si va molto lontani dal vero. E’ una città incredibilmente eterogenea, sorta dagli sforzi comuni di persone di nazionalità, fede e credo politico differente. Di conseguenza, si respira un clima di grande apertura mentale, di accoglienza e, in un certo senso, di fratellanza.
Cosa, invece, dell’Irlanda?
Paradossalmente, se di New York apprezzo la vivacità ed il continuo movimento, dell’Irlanda adoro proprio le caratteristiche opposte, la sua tranquillità, la sua lentezza. In Irlanda, mi riferisco tanto all’EIRE quanto all’Irlanda del Nord, ho visto, anche qui, da straniero, una grande apertura mentale ed un forte e caloroso senso di accoglienza. Eppure, rispetto a New York, l’Irlanda è ancora estremamente legata alle sue tradizioni, al suo passato. E’ ancora molto legata alla terra, alla sua agricoltura e, se si eccettuano le grandi città, come Dublino, Belfast e Cork, l’Irlanda è costellata di minuscoli villaggi, ciascuno dei quali riserva, però, grandi sorprese. Ho visto antiche fortificazioni e una vecchia chiesa che metteva i brividi a Ballymote, nella contea di Sligo. Dubito che qualcuno lo conosca, eppure l’Irlanda è così, nascoste segreti in ogni anfratto.
Rispetto alla vivace e, probabilmente, frenetica New York, l’Irlanda è un invito a riflettere, a chiudersi in un pub per bere birra in compagnia di amici e perfetti sconosciuti, ascoltando un gruppo di musicisti più o meno squattrinati che suonano un’incantevole melodia folk. E la musica irlandese è un’allegria per le orecchie ed una gioia per il cuore, mentre la celebre Guinness ha un aroma fantastico.
Grazie mille Stefano per il tuo tempo, e a voi fan di iNY.it buona lettura di “Celtic Stones — La rinascita dei druidi!
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