Scrivero’ un’altra volta della magia del Cooper-Hewitt Museum. Oggi voglio raccontare di quanto mi siano brillati gli occhi di fronte ai gioielli Van Cleef & Arpels.
Sono andata a vedere questa mostra la scorsa settimana all’ora di pranzo, ed era piuttosto affollata, ma niente fila. Fatto il biglietto ero gia’ in sostanza all’interno dello spazio espositivo che e’ ospitato in quelle che erano le sale al piano terreno della residenza di primissimo Novecento dei coniugi Carnegie (non e’ un caso che quest’area di Manhattan si chiami Carnegie Hill). Da li’ in poi sono stata travolta da una sequenza pirotecnica di bagliori (e da qualche spintonamento – il pubblico e’ al 90% femminile e molto accanito).
Van Cleef & Arpels – meglio saperlo – nasce dal matrimonio tra i cugini Alfred van Cleef e Estella Arpels, nel 1896. Nessuna combinazione di estro e tecnica, ma la saggia unione di due famiglie di commercianti e artigiani di pietre preziose con un gran talento per gli affari. Al primo negozio parigino di Place Vendôme (1906), fece infatti seguito la lungimirante apertura di una boutique a New York (1939), al Rockfeller Center (in Europa del resto non tirava buona aria…), che venne spostata in via definitiva al numero 744 della prestigiosa Fifth Avenue. Gli Stati Uniti – lo intuisco anche dalla serie stupefacente di prestiti di collezionisti privati residenti a Chicago, New York e in California (quest’ultimo vorrei proprio conoscerlo…) – divennero presto un mercato chiave per la maison francese, che poteva operare, almeno all’inizio, senza altri competitori europei.
Spilla a forma di farfalla (Kikumakie Butterfly; 2004). Oro giallo, legno, lacquer, diamanti.
In mostra sono presenti 350 pezzi di alta gioielleria Van Cleef & Arpels, piu’ una decina di registri e disegni di documentazione, e poi foto e video che ne illustrano l’intera produzione e la fortuna in un secolo di storia. Sbalorditivo. E nonostante questi numeri, la mostra resta “leggera”, piacevole, gioiosa. Molto fa anche l’allestimento, magistralmente curato dallo Studio Jouin Manku di Parigi (Patrick Manku e’ il responsabile della ristrutturazione dei negozi a Place Vendôme, 2006), un lavoro delicato e concreto, che consente sia di muoversi agevolmente attraverso gli spazi della casa – la sala della musica, la sala da pranzo, quella della colazione e la galleria – sia di apprezzare a distanza ravvicinata la qualita’ del taglio delle pietre e la costruzione del gioiello. L’atmosfera rarefatta, tra le farfalle Van Cleef & Arpels e le foglioline argentate al soffitto, fa sognare un po’ tutti, e le guardie se la ridono…. Ecco una parola sulle foglioline: tra di esse a fatica si scorgono i faretti che illuminano i gioielli, soluzione felice ed efficace perche’ l’illuminazione di questo tipo di oggetti, brillanti, tutti diversi, e per forza in vetrine di sicurezza, e’ un incubo. Mi piace molto sia il gran tavolo della prima sala, dove tutti i pezzi sono raggruppati sotto un unico vetro curvilineo, come su un tavolo di pasticceria, sia i tavoli nelle altre sale, dove ogni gioiello o parure e’ incapsulato in una bolla lucente di vetro soffiato (sul materiale in realta’ non ci giurerei, indaghero’).
Spilla con pendente a forma di cicognia (Walska; 1971). Oro giallo, zaffiri, diamanti gialli, diamanti bianchi.
Sarah D. Coffin, curatrice della mostra, ha dedicato ogni sala a un tema diverso della ricerca e della produzione Van Cleef & Arpels: (per comodita’ li riporto in inglese) Innovation, Transformations, Nature and Inspiration, Exoticism, Fashion, Personalities. Alla base del duraturo successo della maison, e la ragione di fondo della mostra, e’ la costante ricerca nella tecnica e nel design. Un video nella prima sala (lo si ritrova anche sul sito web van Cleef & Arpels) da’ conto di uno degli aspetti piu’ “innovativi” di Van Cleef & Arpels, che nel 1933 per i loro gioielli brevettarono in esclusiva il “Serti Mystérieux” ovvero il “Mystery setting” ovvero una incastonatura che non si vede. Un elegante pannello ovale mette sotto la lente uno di questi oggetti..rimango senza parole (e ancora una volta apprezzo l’allestimento che non aiuta solo ad esporre ma anche a capire…). Nella sezione “Transformations”, apparte la sfolgorante spilla con pendente a forma di cicogna che un marito – si racconta – regalo’ alla moglie in occasione della nascita del primo figlio (1971; le ali diventano orecchini, la coda una spilla, il diamante giallo di 95 carati si indossa come un pendente), segnalo un gioiello a forma di zip (1951)…non il mio preferito ma certo ingegnoso. Fatto di vari pezzi che si zippano assieme e che si possono indossare anche separatamente. Le sezioni “Exoticism” e “Fashion” presentano una varieta’ amplissima di temi da cui Van Cleef & Arpels ha tratto ispirazione e un gran numero di oggetti che la maison ha rivisitato e impreziosito, e influenzato.
Bracciale appartenuto a Marlene Dietrich (1937). Rubini, diamanti, platino. L’attrice lo indossa in una scena del film Stage Fright [titolo italiano: Paura in palcoscenico] diretto da Alfred Hitchcook (1950).
Tra i pezzi storici compare la “Minaudière”, una sorta di scatolina preziosa da mettere in borsetta creata nel 1930 da Charles Arpels per contenere gli oggetti personali della donna. “Fashion” fa anche da introduzione all’ultima sezione, dedicata alle “Personalities”. Di solito non mi lascio sedurre dalle stars e dai loro eccessi (pubblici o privati), ma mi sono ritrovata a studiare con mal celata curiosita’ le fotografie con Maria Callas che indossa una spilla floreale di platino, diamanti e rubini, o i gioielli di Evita Peron, Greta Garbo, Elizabeth Taylor. Altri tempi.
Separato da tutti, in chiusura, la parure per il fidanzamento di Grace Kelly (1956) e poi per il matrimonio con il principe di Monaco…per sognare ancora un po’.
Molto intelligentemente in mostra ci sono solo i gioielli, e non le didascale: a ogni visitatore viene dato un libbriccino, l’ “Exhibition Object Guide”, con la descrizione dettagliata di tutti i singoli pezzi. Una bella trovata, che ti fa sentire che almeno qualcosa te lo sei potuto portare a casa.
Diana Cesi vive e lavora a New York City. Si occupa di mostre, allestimenti, collezioni d’arte al di qua e al di la’ dell’oceano. Per lavoro e per passione visita musei, gallerie, case d’asta di ogni parte di mondo. Insomma fa del suo meglio, rigorosamente senza stress.
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