Seconda puntata di Romanzo Tricolore, dopo Fiorello La Guardia, il giornalista Paolo Massa ci racconta la storia di Joe Petrosino, poliziotto antimafia newyorkese a cavallo del ‘900.
Provate ad immaginare un funerale con oltre 200mila persone pronte ad omaggiare un poliziotto italo-americano per le strade di New York City. Oggi in Italia nemmeno ce ne si ricorda più di quella processione che durò più di cinque ore nella Grande Mela, sua città d’adozione. Da turisti potreste invece imbattervi in una piazzetta dedicatagli a sud di Manhattan all’incrocio tra le strade Kenmare e Lafayette, un piccolo spiazzo per un personaggio che avrebbe meritato magari un luogo più ampio per ricordarne le gesta. Nato a Padula, in provincia di Salerno, il 30 agosto del 1860, Giuseppe Petrosino si trasferì con tutta la famiglia negli Stati Uniti all’età di 13 anni. Qui iniziò a fare lo sciuscià (in inglese shoes shine, il lustrascarpe) proprio davanti alla stazione di polizia di Mulberry Street. Quando entrerà poi a far parte del dipartimento di polizia nel 1883, Joe Petrosino era l’ufficiale più basso della città, ma il suo essere italiano gli permise di comprendere al meglio le dinamiche della criminalità a Little Italy. I mafiosi di casa nostra si trovarono di fronte un poliziotto determinato che parlava e capiva la loro stessa lingua. Fu durante i suoi primi anni di servizio che Joe conobbe l’allora capo della polizia di New York, Theodore Roosevelt, futuro presidente degli Stati Uniti. Grazie alla segnalazione di Roosevelt, il giovane agente fu promosso sergente, il primo italo-americano a ricevere questo incarico. Qualche anno dopo divenne tenente a capo dell’Italian Squad, una squadra di poliziotti italiani con il compito di stanare i boss della Mano Nera, l’organizzazione criminale con base in Sicilia da cui dipendeva il mercato delle estorsioni a New York City. Tra le vittime della Mano Nera ci fu anche il celebre tenore Enrico Caruso: i gangster lo minacciarono di morte qualora non avesse consegnato la quantità di soldi richiesta. Intervenne così Joe Petrosino, il quale convinse Caruso ad accettare la proposta dei boss per riuscire poi a catturarli con le mani nel sacco.
Le indagini certosine del poliziotto italo-americano portarono all’arresto del padrino di New York, Don Vito Cascio Ferro, il quale fu però subito scagionato dalle accuse di omicidio. Ritornato in libertà, il capo dei capi decise di fuggire in Italia dove entrò in contatto con la mafia siciliana. Joe Petrosino decise così di organizzare una missione a Palermo per raccogliere informazioni sui mafiosi americani fuggiti in Sicilia. Prima del suo arrivo in Italia nel marzo 1909, grazie a una soffiata del commissariato di polizia il New York Herald pubblicò la notizia della missione top secret del poliziotto nel cuore del potere mafioso. Joe Petrosino, forse un po’ ingenuamente, non pensò di correre alcun pericolo, convinto che la mafia non avrebbe ucciso un poliziotto in Italia, non essendo mai successo negli Stati Uniti. Così quando ricevette una lettera da un presunto pentito che gli diede appuntamento in Piazza Marina per uno scambio di informazioni, Joe accettò di buon grado senza immaginare di andare incontro alla morte. La trappola fu servita: ucciso con tre colpi di pistola Joe Petrosino morì a soli 48 anni. Per chi volesse rendergli omaggio, la salma riposa nel Calvary cemetery nel Queens. Ultimamente anche il New York City Police museum gli ha dedicato una esibizione temporanea per ricordare la vita del primo detective italo-americano degli Stati Uniti.
Paolo Massa, praticante giornalista nato a Salerno 25 anni fa, studente fuori sede prima a Roma e poi a Milano, di passaggio a New York per uno stage di tre mesi, alla ricerca della sua Land of Hope and Dreams non solo virtuale (www.paolomassa.blogspot.com), con una piccola grande speranza nel cassetto:Don’t stop believing! Mandate una email all’autore del post all’indirizzo pmassa85@yahoo.it
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