Come ho scritto su Facebook, mi ero ripromessa di non fare il solito post su 9.11, che ormai e’ diventato quasi d’obbligo tutti gli 11 settembre di tutti gli anni a venire. Non perché sia anticonformista. Non perché la mattina dell’11 Settembre mi sia svegliata con altro in mente se non la tragedia di cosa sia accaduto ormai 14 lunghissimi anni fa. Non perché, contrariamente al resto del mondo “I’m forgetful.”
Mi ero ripromessa di non fare un post su 9.11 perché vivo a New York da 8 anni, e per gli scorsi otto 9.11 ho visto come i newyorkesi vivono il ricordo: come una cosa privata. Tutti, e dico tutti, coloro con cui ho parlato fino ad ora si ricordano nei minimi dettagli quella mattina. Tutti avevano conoscenti, amici o parenti, che quella disgraziata mattina erano li. A World Trade Center. E oggi tutti ricordano. Senza bisogno di doversi ricordare di ricordare. Tutti sanno. Ma nessuno dice.
Mi ero anche ripromessa di non fare un post su 9.11 perché ho la grande fortuna di, con il mio lavoro, essere partecipe in prima persona alla ricostruzione e ripopolazione del centro. E credetemi, fa venire le lacrime agli occhi essere in un meeting a 1 World Trade, attorniata da persone con una grandissima energia, che parlano di come fare a ripartire, a ricostruire. Questa energia e’ cio’ che porta rispetto a 9.11. Un’energia rumorosa e strabordante, che porta dentro di se un doloroso silenzio.
Eppure.
Eppure la mattina di 9.11 mi sono alzata e sono successe due cose bellissime. La prima e’ che ho visto questa foto. Che lascia senza fiato. Che parla da sola. Perché e’ proprio vero che esce sempre il sole dopo la tempesta.
La seconda e’ che ho letto una storia bellissima. La storia di cosa sia successo a tutti gli altri aeroplani che, quella mattina, erano in volo sugli Stati Uniti continentali, o semplicemente che erano in volo verso New York e gli Stati Uniti in generale. Tutti ci ricordiamo cosa stavamo facendo quella mattina. Tutti ci ricordiamo le terribili immagini di una Manhattan quasi deserta.Ma se ci fermiamo un attimo ci accorgiamo che in quel preciso istante c’erano probabilmente tantissimi aerei che stavano o sorvolando gli Stati Uniti (dove e’ stato dato immediatamente l’avviso di chiusura degli aeroporti) o arrivando negli Stati Uniti, così come e’ solito essere durante una mattina qualunque nelle principali città americane.
Ebbene, una hostess di volo, sul volo delta 15 che da Francoforte stava andando ad Atlanta, ha raccontato cosa sia successo a lei, quella terribile mattina dell’11 Settembre 2001. Ve la traduco in italiano qui:
“La mattina di martedi 11 settembre, eravamo in volo sull’Atlantico, dopo circa 5 ore dalla partenza da Francoforte. All’improvviso le tendine di separazione si sono aperte e mi e’ stato detto di recarmi immediatamente nella cabina di pilotaggio per parlare con il capitano. Appena arrivata, ho notato che il resto dell’equipaggio aveva una faccia serissima. Il capitano mi ha passato un foglietto di carta con un messaggio. Proveniva dall’ufficio principale di Delta, ad Atlanta, e semplicemente diceva: “Tutte le vie aeree sugli Stati Uniti Continentali sono chiusi al traffico commerciale. Atterrate il prima possibile sull’aereoporto più’ vicino. Informateci riguardo alla vostra destinazione.
Nessuno disse nulla riguardo a cosa stesse succedendo. Sapevamo fosse una situazione seria e che dovevamo atterrare il più’ velocemente possibile. Il capitano determino’ che l’aeroporto più’ vicino era a 400 miglia dietro di noi, a Gander, Newfoundland. Richiese approvazione per il cambio di rotta e la torre di controllo canadese approvo’ la richiesta immediatamente — senza fare domande. Scoprimmo poi più’ tardi, ovviamente, perché non ci fosse nessuna esitazione nell’approvare la nostra richiesta. Mentre l’equipaggio si preparava all’atterraggio, ci arrivo’ un altro messaggio da Atlanta dicendo che c’erano state delle attività terroristiche nell’area di New York. Un paio di minuti dopo ci fu detto che un aereo era stato dirottato.
Decidemmo di MENTIRE ai passeggeri mentre eravamo ancora in volo. Dicemmo che l’aereo aveva dei problemi strumentali e che avremmo dovuto atterrare al primo aeroporto, a Gander, Newfoundland, per un controllo. Promettemmo di dare più’ informazioni quando fossimo atterrati a Gander. L’ora locale a Gander era mezzogiorno e mezzo. Le 11 di mattina a New York.
C’erano gia’ altri 20 aerei circa parcheggiati a Gander. Provenienti da ogni parte del mondo, che avevano subito lo stesso detour mentre si avvicinavano agli Stati Uniti.
Dopo aver parcheggiato, il capitano annuncio: “Signori e signore, vi starete chiedendo se tutti questi altri aerei abbiano avuto lo stesso problema nostro. La realtà e’ che siamo qui per un’altra ragione.” Continuo’ poi a spiegare un poco cosa stesse succedendo negli Stati Uniti. Ci furono un sacco di mormorii spaventati e sguardi shoccati. Il capitano informo’ i passeggeri che la torre di controllo di Gander ci aveva detto di rimanere sull’aereo. Il governo canadese era al capo della situazione e nessuno poteva scendere dall’aereo. Nessuno a terra poteva avvicinarsi a nessuno degli aerei. Ogni tanto solo la polizia locale si avvicinava agli aerei per controllarci periodicamente e passare al prossimo aereo.
Nelle ore successive molti altri aerei atterrarono, e Gander fini’ per ospitare 53 aerei da ogni parte del mondo, 27 dei quali erano jet commerciali statunitensi. Nel frattempo pezzi di notizie iniziarono ad arrivarci via radio e per la prima volta apprendemmo che degli aerei si erano scontrati con le torri del World Trade Center a New York e sul Pentagono a Washington DC. I passeggeri tentarono di usare i loro telefoni cellulari, ma la maggior parte non riusci’ a connettersi per il network canadese differente. Alcuni ce la fecero, ma riuscirono solo a parlare con un operatore canadese che diceva che le linee statunitensi erano bloccate o troppo trafficate. Verso sera ci arrivo’ la notizia che le torri del World Trade Center erano crollate e che un quarto aereo era stato dirottato ed era caduto. I passeggeri erano emotivamente e fisicamente esausti, ovviamente spaventati, ma tutti mantennero la calma. Dovevamo solo guardare fuori dai finestrini per vedere gli altri 52 aerei e capire che non eravamo gli unici in questa situazione. Ci avevano detto che avremmo potuto sbarcare presto, ma alle 18 l’aeroporto di Gander ci disse che non avremmo potuto sbarcare fino alle 11 della mattina dopo. I passeggeri non erano contenti, ma si rassegnarono semplicemente alla notizia, senza troppo rumore, e iniziarono a prepararsi per spendere la notte in aereo. Gander ci promise attenzione medica, nel caso servisse, acqua e bagni. E la promessa venne mantenuta. Fortunatamente non avemmo nessuna situazione medica di emergenza. Avevamo una giovane passeggera incinta di 33 settimane e ci prendemmo grandissima cura di lei. la notte passo’ tranquilla, nonostante tutti fossero in posizioni molto scomode.
Passengers were not happy, but they simply resigned themselves to this news without much noise and started to prepare themselves to spend the night on the airplane.
Alle 10.30 circa della mattina del 12 Settembre, una schiera di autobus scolastici si presento’ in aeroporto. Sbarcammo e fummo portati al terminal dove, dopo essere passati alla dogana dovemmo registrarci presso la Croce Rossa. Dopodiché noi (l’equipaggio) fummo portati in un piccolo hotel.
Non avevamo idea di dove i nostri passeggeri avrebbero alloggiato. La Croce Rossa ci disse che la città’ di Gander ha una popolazione di circa 10.400 persone, e che con gli aerei parcheggiati, avrebbero dovuto essere in grado di ospitare circa 10.500 passeggeri. Ci dissero di rilassarci in hotel e che saremmo stati contattati appena gli aeroporti statunitensi avrebbero riaperto, ma ci dissero di non aspettare di ricevere la chiamata per un po’. Scoprimmo quanto gravi fossero stati gli attacchi su New York solo dopo essere arrivati in hotel, 24 ore dopo l’accaduto. Nel frattempo avevamo un sacco di tempo a nostra disposizione e scoprimmo che la gente di Gander era molto ospitale. Ci iniziarono a chiamare “le persone degli aerei.” Alla fine ci divertimmo quasi e fu una bella esperienza.
Due giorni dopo ricevemmo la chiamata e fummo riportati all’aeroporto di Gander. Ritornati sull’aereo, e riuniti con i nostri passeggeri, scoprimmo cosa loro fecero in quei due giorni. E quello che scoprimmo fu qualcosa di incredibile.
Gander e le comunita’ vicine (in un raggio di circa 75 chilometri) avevano chiuso l scuole, le sale conferenze, le case di ospitalita’, e qualsiasi altro luogo di ritrovo. Avevano convertito tutti questi posti in aree di accoglimento per i passeggeri. Alcuni avevano letti provvisori, altri brandine e cuscini. Tutti i ragazzi delle scuole superiori furono chiamati a dedicare il loro tempo ad aiutare gli “ospiti.”
I nostri 218 passeggeri finirono in una cittadina chiamata Lewisporte, a circa 45 chilometri da Gander, dove furono messi in una scuola superiore. Se le donne avessero voluto stare in una sistemazione per sole donne, anche quella opzione era stata prevista. La famiglie venivano tenute insieme. I passeggeri più’ anziani messi in case private. Vi ricordate la ragazza incinta? La misero in una casa proprio in fronte a un ospedale. C’era un dentista sempre pronto e infermieri sia donne che uomini rimasero con i gruppi per tutta la durata del soggiorno. Chiamate e e-mail verso gli Stati Uniti e il resto del mondo furono resi possibili e tutti, una volta al giorno. Durante il giorno i passeggeri vennero offerti la possibilità di fare “escursioni”: alcuni andarono su piccole crociere nel laghi o porticcioli. Alcuni andarono a fare camminate nei boschi. Le panetterie locali rimasero aperte per avere pane fresco per tutti. Pranzi e cene erano preparati da tutti gli abitanti e portati nelle scuole. Le persone vennero portate nei ristoranti di loro scelta per delle cene indimenticabili. Tutti i passeggeri vennero muniti con gettoni per le lavatrici per i loro vestiti, dato che i loro bagagli erano ancora sull’aereo.
In poche parole: ogni singolo bisogno dei passeggeri fu soddisfatto. I passeggeri piangevano mentre ci raccontavano queste storie. Infine, quando ci dissero che gli aeroporti statunitensi avevano riaperto, tutti furono riportati in tempo senza che nessuno mancasse, o fosse in ritardo. La Croce Rossa locale aveva tutte le informazioni riguardanti ogni singolo passeggeri e sapevano su quale aereo avrebbero dovuto imbarcarsi. Coordinarono il tutto in maniera fantastica. Fu tutto incredibile.
Quando i passeggeri tornarono in aereo, era come se fossero stati in crociera. Tutti conoscevano tutti per nome. Si scambiavano storie su cosa avevano fatto, vantandosi di chi si fosse divertito di piu.
Il nostro viaggio di ritorno verso Atlanta fu quasi una vesta. L’equipaggio rimase fuori dai giochi. Era qualcosa di veramente straordinario. I passeggeri avevano creato dei legami, si chiamavano per nome, si scambiarono i numeri di telefono, indirizzi, indirizzi email.
E poi, qualcosa di incredibile accadde. Uno dei passeggeri si avvicino’ e mi chiese di poter fare un annuncio. Di solito non permettiamo mai una cosa del genere. Ma in quel caso era diverso. Dissi “certamente” e gli passai il microfono. Il passeggero inizio’ a raccontare l’incredibile esperienza che tutti avevano vissuto negli scorsi giorni. Ricordo’ l’ospitalità che avevano ricevuto da parte di completi sconosciuti. Continuo’ dicendo che avrebbe voluto fare qualcosa in cambio per le persone di Lewisporte. Disse che avrebbe creato un fondo a nome Delta 15 (il nostro numero di volo) affinche’ le spese per gli studi dei ragazzi di Lweisporte fossero coperte. Chiese a ognuno di donare quello che si sentivano. Quando il foglio con nomi, indirizzi, numeri di telefono e l’importo donato ci ritorno’ nelle mani, i passeggeri avevano raccolto più’ di $14.000! Il passeggero, un dottore della Virginia, promise di raddoppiare le donazioni e prendersi carico della parte amministrativa. Disse anche che avrebbe inoltrato la proposta a Delta, affinche’ anche la compagnia potesse donare. Mentre vi scrivo, il fondo vale più’ di 1.5 milioni di dollari e ha assistito 134 ragazzi durante gli studi universitari.
Storia interessante, no? Per ricordarci che ci sono tante persone pronte ad aiutare il prossimo nel mondo. Purtroppo sono solo quelle che non aiutano per niente che finiscono sui giornali.”
NEVER FORGET.
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