La settimana scorsa stavo accompagnando due ragazzi italiani per il ditour Harlem, che attraversa uno dei quartieri di New York più etnicamente e culturalmente forti. Dal Rinascimento di Harlem, fino alle Lotte per i Diritti Civili, l’area intorno a 125th street è sempre stata il faro della comunità afroamericana della città e degli Stati Uniti.
La leggenda narra che, fino agli anni ’80, non fosse possibile per un non-afroamericano girare per la zona non accompagnato; non so quanto di vero ci fosse in questa storia, ma oggi di sicuro la situazione è cambiata. La maggioranza della popolazione è comunque di origine africana, ma ci sono persone di ogni provenienza e nazionalità: quantomeno la comunità italiana è presente nella persona del sottoscritto.
Tornando a noi, mentre camminavamo per Malcolm X Boulevard (alias Lenox Avenue, alias 6th avenue), i ragazzi stavano scattando foto e facendo riprese di negozi, viali, parchi e altre amenità turistische. All’improvviso una signora alta, vestita in abiti tradizionali africani, ci ha redarguito aspramente: “smettetela di fotografarci, non ci teniamo a diventare un vostro argomento di conversazione!” Dopo esserci scusati, ce ne siamo andati senza creare polemiche e un po’ frastornati.
Capisco perfettamente il desiderio di conservare le proprie radici culturali e di preservarle dal consumismo sfrenato, però la reazione mi è sembrata esagerata. Prima di tutto lei non era il soggetto, secondo eravamo in uno spazio pubblico e non era nostra intenzione essere irrispettosi. Come se non bastasse, i miei compagni di viaggio erano di Firenze: cosa dovrebbero dire ogni volta che un turista americano scatta una fotografia al Duomo o a S. Croce, “non vogliamo comparire nei vostri libri di storia dell’arte?”
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