La nostra sesta avventura parla di un’esperienza unica: la prima esperienza di New York, in cui tutto sembra un film, in cui tutto e’ esattamente come ci si immaginava. Un’esperienza alla fine della quale scopriamo che New York e’ donna. Ma con le palle.
Volete entrare anche voi a far parte della nostra Odissea newyorkese? Vi sentite dei moderni Ulisse con le scarpe da ginnastica? Mandateci i vostri racconti a info@inewyork.it! Non vediamo l’ora di pubblicarli!
Sogni New York da quando sei piccolino.
Gli immensi e graffianti palazzi di vetro che ti rendono nulla più che un moscerino, quei tombini che fumano e che non sai ancora oggi il perchè, quella serie infinita di semafori rossi dritti che sembrano quasi non finire più.
Poi cresci, nella vita affronti situazioni diverse, incontri persone speciali ma anche altre che di speciale non hanno nemmeno un briciolo d’ombra, e prosegui camminando, a volte a testa bassa, altre volte riuscendo, quando puoi, ad alzare gli occhi e a sorridere al cielo.
Poi cresci, e nella stessa vita sentimentale, fatta di rapporti, sguardi, litigi e amori e amori, scopri cos’è la curiosità.
Sono un folle innamorato di Parigi, mi sento a casa come non mai quando mi infili tra le Rue e i Boulevard, ma, si sa, Parigi è in un continente che è detto “Vecchio”, e a volte c’è bisogno di qualcosa di “Nuovo”.
Così, quasi per caso, in una sera estiva, trovandomi a cena con amici, Massimo disse che cercava qualcuno con cui visitare New York, e fu l’occasione giusta per, se non lasciare, almeno osservare il “Nuovo”, lasciando per un pò il “Vecchio” nella sua posizione abituale, tradizionale, e lasciarlo scorrere per un pò senza farne parte.
Ed essere invece parte di qualcosa di immensamente più grande, di quelle città che sogni nei libri di Grisham, e di Auster e di De Mille (che consiglio, a tutti).
Così, da una cosa nata quasi per scherzo, mi ritrovo una domenica mattina, accompagnato da una morosa fin troppo comprensiva, a Linate, pronto a partire per il mio viaggio aereo più lungo, il mio soggiorno fuori dal mio appartamentino da scapolo impegnato in una nebbiosa cittadina emiliana, il mio sogno più grande: New York City.
Non è solo questione di obiettività, il viaggio.
E non lo è New York.
Quante cose, immaginate e sognate, viste nei film e ripetute nei libri, si sanno prima di arrivarci davvero?
E sono talmente tante che, a volte, ti senti che sei un pò preso in giro, che la vita non è un film e allora New York non è così sul serio, e poi, e poi, e poi.
Sbagliavo.
New York è davvero un film, o, più semplicemente, New York è un film vero.
Il primo ricordo che ho di New York è una impalcatura in ferro che copre il primo pezzetto di cielo sbucando dalla Metro Blu.
Ed è quasi metaforico il fatto che New York sia così, sempre in ricostruzione, fatta di un milione di minuscoli mosaici che si incastrano l’uno sull’altro crescendo sempre più, per poi modificarsi ad ogni passo su questo muro lastrellato di pietruzze colorate.
Un impalcatura su un palazzo sotto al quale vigila il sempre e presente ed enormemente diffuso Starbucks, e fa sorridere vedere un modo un pò italiano di soffermarsi vicino alle vetrate per scroccare un pò di Wifi.
Un impalcatura e un palazzo di vetro enorme, forse il più grande che avessi mai visto tolto il Pirellone.
Siamo ad Astor Place, nel Village, e l’impatto è un pò duro.
Per il nostro fuso orario è tardissimo, si esce dalle discoteche e ci si fionda un pò brilli nelle pasticcerie aperte di buon’ora, e a New York invece sono le 23, pardon, o meglio, Sorry, le 11 p.m., of course.
Ci si perderebbe raccontando minuziosamente gli alberghi, le disavventure, le avventure, la gente, i musei e i monumenti.
Non voglio.
Quel che merita davvero di essere raccontato, di New York, è l’aria che vi si respira.
Questo viaggio, per me, è fatto di odori.
Forti, acri, a volte nauseabondi, ma di certo significativi.
Siamo a Chinatown, e ti senti fortemente protagonista di un film dove Jackie Chan spunterà da un momento all’altro inseguito da chissà quali banditi.
Ti siedi in uno di questi ristoranti che “prova” a convincerti, e vedi i prezzi, e allora ordini, e in men che non si dica hai un enorme tavolo reso minuscolo dalla quantità impressionante di cibo che ti si riversa addosso.
E così, tra risate e the caldo, e minuscoli bicchieri di acqua ghiacciata, esci e sospiri vedendo una Italia in miniatura che ahimè, conferma il “Pizza, mafia e mandolino”.
Ciro’s Pizza, Pasticceria Ferrara, e allora rivedi cose di casa, ma le cose di casa possono essere solo a casa, e il resto non è altro che un tentativo pessimo di espiantarsi all’estero. Mi sono sentito un pò meno italiano, a Little Italy.
E gli hot dog ad ogni angolo di strada, che ancora me li sogno e che sono stati una splendida scoperta, e a che a un dollaro in Italia forse forse ti ci compri si e no un pacchetto di cicche, ma forse nemmeno più.
E respiri un’aria diversa a seconda che tu ti affacci sull’Hudson o sull’East River, o forse no, ma a me è sembrato proprio così.
Guardi il New Jersey e lo vedi come l’estensione di New York, e invece no, è un altro stato, e allora, da buon Newyorkese, un pò disdegni la costa al di la del fiume, e ti rigiri osservando le luci che si accendono su Manhattan, e sospiri mentre sali sul Top of the rock sospiri pensando di stare guardando solo una cartolina.
No, è tutto vero, downtown si stende ai tuoi piedi.
Aerei partono e arrivano, minuscoli taxi gialli, ma gialli davvero scorrono veloci sui sensi unici cittadini pregando per l’onda verde, e spii un pò con i binocoli a gettoni tavoloni ovali sui quali si siederà chissà chi, e magari nascera una nuova moda, e tutto da quei tavoli e quelle sedie li, che ti sembrano vicine, vicine per davvero…
New York, come dice la mia amica Aireen, (Irene, of course), è donna, ma con le palle.
Sono d’accordo.
New York la sento donna, ma con un saldo palo piantato nel didietro, perdonando l’espressione.
Una città che ti accoglie, ti ammalia, ma ti prende, ti manipola.
Lo senti lassù, in alto, con milioni di luci che ti accolgono.
Lo senti lassù, guardando la punta dell’Empire ricoperta dalla foschia, dalla quale ti aspetti esca King Kong torreggiando da un momento all’altro.
New York, soltanto osservata con gli occhi, non basta.
New York è da sentire e respirare.
A maree i taxi, ma con motori pressochè sordi, silenziosi, e ti stupisci.
A maree le persone, ma è un brusio coinvolgente, carico, rumoroso ma invitante.
Ma soprattutto, è il suono di un sax a richiamare l’attenzione mentre scorazzi a Central Park in bicicletta, sentendoti, forse per la prima volta davvero, libero nella tua vita.
Sì, perchè New York è anche so jazz, and so green.
E solo per Central park ci vorrebbero migliaia di parole, e non voglio.
Me ne basta una.
Pace.
New York è so all.
Veramente tutto, letteralmente.
In fondo, in questo viaggio cercavo una parte di me.
Credo di averla trovata, e seppur non senta casa mia New York, perchè nella vita ci si innamora una volta soltanto, credo di aver trovato una buona amica.
Una buona amica, con le palle.
Francesco Parisi, www.francescoparisi.it.
Meraviglioso, complimenti!
hai descritto molto bene molte sensazioni comuni… bellissimo…
adoro New York… negli ultimi tre anni ci sono stata 8 volte… è stato amore a prima vista, 10 anni fa, la sento casa mia… dico sempre “come Lei (confermo che è femmina) nessuna mai”… mi emoziona sempre parlare di Lei e tu hai descritto magistralmente le sensazioni che fa provare.. complimenti!!
Un racconto (e un’esperienza!) da brividi..
Leggerti è sempre un’emozione 🙂
Pura emozione… complimenti!!!
Sei riuscito a cogliere e descrivere perfettamente ogni sensazione! E’ stato emozionante rileggere la nostra esperienza..
I LOVE NY ! per questo lascio la soleggiata ma sonnechiosa California e mi ritrasferisco a NY spero mi abbia perdonato il fatto di averla lasciata qualche anno fa’…complimenti per l’articolo..see you soon