Ecco a voi il secondo racconto del nostro avventuriero urbano: questa volta Marco ci racconta (in due puntate) il suo viaggio newyorkese alla ricerca del suo Sacro Graal musicale!
Volete entrare anche voi a far parte della nostra Odissea newyorkese? Vi sentite dei moderni Ulisse con le scarpe da ginnastica? Mandateci i vostri racconti a info@inewyork.it! Non vediamo l’ora di pubblicarli!
Un vacanza negli States rappresenta, per suonatori di ogni età ed appassionati di ogni genere musicale moderno, un must imprescindibile, soprattutto per chi, come me, si diletta con uno strumento musicale nel tentativo di emulare i grandi musicisti americani.
Quale luogo migliore di New York, dunque, per intraprendere un viaggio alla ricerca di preziosi tesori musicali che possano arricchire la propria personale collezione? Un viaggio nell’ombelico del mondo, “dove convergono le esperienze e si trasformano in espressione” (mi scuso per l’orribile citazione di Jovanotti!).
Dopo aver trascorso numerose settimane prima della partenza nel tentativo di documentarmi sulle varie tappe da effettuare, dopo aver preparato liste chilometriche di aggeggi, i più disparati, da acquistare, dopo aver sperato, invano, in un brusco calo del dollaro rispetto all’euro e dopo essere rientrato ed aver superato il problema fuso orario, eccomi finalmente pronto a darvi il mio personale resoconto del viaggio, con la premessa che, anche solo per girovagare tra i mille negozi di strumenti sparsi per tutta New York servirebbero mesi, forse anni… e suppongo che i miei compagni di viaggio non avrebbero retto ancora per molto quella che noi musicisti (soprattutto chitarristi) chiamiamo GAS (Gear acquisition syndrome)!
Dunque, il viaggio inizia con la prima tappa obbligatoria: il famigerato e tanto sponsorizzato Guitar Center, che in città è presente a Manhattan (sulla 14esima tra la sesta e la quinta), Brooklyn (Flatbush Ave) e nel Queens (48esima strada Long Island City). A causa dei sopraccitati compagni di viaggio ho evitato di visitare il negozio del Queens, dopo aver subito una cocente delusione nelle altre due location. Il grande magazzino (con annessa aria condizionata impostata sulla temperatura autunnale al Polo Sud) delude sotto diversi aspetti l’occhio critico del chitarrista vacanziero con propositi bellicosi (sia quello di Manhattan che quello di Brooklyn). La prima incursione (sabato pomeriggio) passa completamente inosservata agli occhi dei numerosi commessi del negozio di Manhattan. Mi addentro quindi in un’esplorazione solitaria e scopro, con mio sommo rammarico, che la zona dedicata a noi chitarristi svantaggiati (ahimè sono mancino!) è completamente limitata ad una minuscola colonna sulla quale sono appese circa una decina di chitarre. È vero che noi “diversamente plettranti” siamo abituati ad una vita di stenti e privazioni, però, diamine, almeno nella Grande Mela mi aspettavo una scelta un po’ più ampia! Ad ogni modo, trattenendo a stento le lacrime, mi addentro in una perlustrazione tra un muro (vero e proprio) di chitarre di ogni forma e colore e soprattutto nelle diverse stanzine che contengono i tesori più proibiti (parliamo di chitarre nella fascia di prezzo più costosa, la fascia “nemmenoneituoimigliorisognipotraipermetterla”). Sconsolato esco, deciso a ritornare nei giorni successivi. Dopo aver visitato il negozio di Brooklyn con esiti analoghi ritorno finalmente sui miei passi e, in quel di Manhattan, in un afoso giovedì pomeriggio, chiacchiero amabilmente con un barbuto giovane commesso il quale, alla mia richiesta di una chitarra Fender Telecaster made in USA, dapprima tenta di vendermi una Fender Telecaster made in Mexico e poi, non soddisfatto, una Fender Stratocaster made in USA (ma se cerco una Tele, perché mi proponi una Strato?) che gentilmente rifiuto forte del fatto di possedere già una Strato USA uguale persino nel colore. Non pago della cocente sconfitta il simpatico commesso sfodera la carta a sorpresa offrendomi l’unica Telecaster mancina presente in negozio, che mi era sfuggita perché posizionata praticamente sul soffitto. Ripresomi dallo sbigottimento per tale mia ingiustificabile mancanza, noto che il prezzo di oltre 5.000 dollari giustifica da un lato il posizionamento della suddetta, e dall’altro la mia pessima vista, già provata dalla miopia e dall’età avanzata. Gentilmente saluto il commesso, deciso a non ritornare mai più ed a sconsigliare vivamente a chiunque di mettere piede al Guitar Center.
Decisamente meglio l’incursione da LUDLOW GUITARS (zona Downtown – 164 Ludlow Street) dove, dopo aver visto un numero di chitarre mancine pressoché identico a quello del Guitar Center, ma in un negozio decisamente più piccolo, un gentile commesso mi piazza in mano una buona Telecaster made in USA con l’unica pecca di avere delle corde risalenti alla guerra d’indipendenza. Terminata la suonatina, con i compagni di viaggio scalpitanti, mi informo sulla possibilità (da buon italiano!) di evitare le tasse americane, dovendo già versare l’Iva italiana al momento del rientro in dogana (a voler agire secondo norma di legge – chi ci crede?). Scopro con piacere che il negozio è in grado di rilasciarmi un’attestazione dell’avvenuto pagamento delle tasse USA con la quale potrò chiedere alla dogana italiana la riduzione per pari quota dell’Iva. Ringrazio, saluto il simpatico commesso che mi dona il malagevole plettro gentilmente prestatomi per la prova, visto che il mio era comodamente rimasto nel nostro appartamento di Chelsea e decido di cercare altrove migliore fortuna.
[continua…]
Marco “John” Dieni, giurista e musicista, attraversa i continenti alla ricerca della chitarra perfetta
non vedo l’ora di leggere la seconda parte. che scrittura pimpante, complimenti 😉 e che nostalgia di NYC…
…grazie Roby!!!!!