
Era impossibile non vederlo stamattina: Starbucks era su tutti i giornali nazionali (e internazionali) per la sua prima apertura nel paese del caffe’. Il paese che in verita’ ha ispirato Shultz ad aprire Starbucks. Perche’ noi, con il nostro modo di vivere e il nostro stile e il nostro Made in Italy, dettiamo legge. Noi cambiamo le regole. Noi santi, poeti e navigatori, no? E quindi? C’e’ da essere orgogliosi che un americano sia venuto in Italia, abbia visto la cultura del caffe’ nei bar milanesi, e abbia deciso di importare il concetto in America ed esportarlo in tutto il mondo, facendoci un impero, no?
Eppure. Eppure stamattina ho letto un sacco di commenti negativi riguardo al caffe’ di Starbucks. Riguardo alla loro decisione di aprire in Italia. Riguardo al fatto che il nostro caffe’ e’ imbattibile e Starbucks che se ne torni a casa sua.
Ho anche letto tanti commenti che invece accettavano favorevolmente il cambio. Una serie di americofili che non vedevano l’ora di farci un giro.

Ora. Mi sembrava corretto, da expat italiana in America, dire la mia sulla questione. Per chi volesse stare ad ascoltare. E dato che sono appassionata di liste perché e’ cosi che funziona il mio cervello (o meglio, che deve funzionare, se no non trovo più il capo alla matassa a volte!) vi metto i miei pensieri per punti.
- Innanzitutto premettiamo che ho visto solo foto, ma ho un’idea abbastanza nitida di come l’esperienza del caffe’ della torrefazione funzioni dato che ho seguito con passione l’evolversi del brand a Seattle, e sentito racconti molto vividi ed entusiasti del loro negozio a Shanghai. E mi sento di dire, come persona che si e’ sempre interessata di Brand Storytelling nella vita, che: bravi Starbucks. Da quello che leggo, sono entrati in Italia con l’umiltà di non volerci insegnare il caffe’ e con la modestia di non voler ricreare un’esperienza che gia’ esisteva. L’esperienza del caffe’ milanese, dell'”oro e l’argento e le sale da the” per cui noi tanto ci vantiamo, e’ stata l’ispirazione, ma non e’ stato il punto di arrivo. Quello che ci offre Starbucks a Milano e’ un’esperienza nuova di caffe’. E’ il tasting del caffe’. E’ l’interessarsi a come funziona il mondo del caffe’. E’ il trattare il caffe’ come se fosse vino. Cosa talaltro che in America e’ molto popolare da cinque anni a questa parte: un filone di pensiero nato nelle piccole, piccolissime torrefazioni, che il colosso di Seattle ha preso, fatto sua, perfezionato, e importato nel paese del caffe’. Quindi: bravi. Bella idea. Bella esecuzione (da quanto leggo, vedo e sento.)
- Dall’altra parte e’ anche vero che il nuovo tempio del caffe’ ci faccia quasi sfigurare. Noi che alla domanda “Com e’ il caffe’ migliore del mondo?” mediamente rispondiamo “Be’, rigorosamente espresso, stretto, al bar, con un bicchiere d’acqua in parte.” Noi che a quella domanda mica pensiamo alla qualità dei chicchi, al modo in cui vengono trattati, a quello che ci sta dietro quel semplice ma magistralmente eseguito gesto del “Tac, tac, bzzz, swish, click, brrrr” che ci produce la tazzina. Noi che nella cultura della bevuta del caffe’ ci siamo nati e cresciuti, ma forse – e sicuramente senza accorgercene – trattato sempre in maniera quasi superficiale. Dove la nostra esperienza del caffe’ al bar si limitava al “qui lo fanno buono, qui no.” Noi che la nostra idea di caffe’ e’ sempre stata più’ legata all’esperienza finale, all’aspetto social-letterario, alla congregazione al bar, piuttosto che alla ricerca tecnica di tutto quello che ci sta dietro a quella bevanda scura. A parte rari casi, certo. Mica voglio star qui a generalizzare. Sta di fatto che Starbucks ha pensato ad un tempio di venerazione del caffe’, dal chicco alla tazza, che, porca miseria, ci avremmo dovuto pensare pure noi se non fossimo stati cosi occupati a berlo, sto caffe’.
- In ultimo, un commento su tutti i commenti che ho letto. Per gli estremamente favorevoli, ricordate che la vostra esperienza di Starbucks e’ edulcorata. Probabilmente ci siete stati durante le vostre vacanze all’estero, e quindi per voi ha un sapore esotico che per chi vive in America Starbucks certamente non ha. Dopo 11 anni a New York, vi posso dire che Starbucks non lo prendo nemmeno in considerazione quando c’e’ da prendere decisioni riguardanti al caffe’. Perche’ ce ne sono talmente tanti altri migliori. Ma agli estremamente sfavorevoli mi sento di dire: non attaccatevi troppo a un’idea di mondo che non esiste più. Un mondo dove non esiste il viaggio facile e l’altrettanto facile possibilità di contaminazione di idee. Non sto dicendo che il mondo dei nostri bar e i nostri caffe’ come li conosciamo non esisterà più adesso che e’ arrivato Starbucks, anzi. Ma che forse da questa spinta ne possono giovare anche loro? I piccoli caffe’ e bar di Milano? Da cosa nasce cosa, da belle idee nascono altre idee. Vediamo questa dove ci porta.
- In conclusione, la mia opinione e’: bravi Starbucks per aver mostrato agli italiani che esiste un’altra dimensione al caffe’. Che non deve essere data per scontato. E bravi per aver capito che un concetto di Starbucks come quello che si ha in America non avrebbe funzionato molto e avrebbe solo attirato le ire dei tradizionalisti. Ma questo ve lo dico con un pizzico di tristezza perché, ah, quanto bello sarebbe stato se ad arrivarci a questa cosa fosse stato un brand italiano.
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