“A contare è che ce l’avevo fatta. Avevo spedito la palla in aria come un giocatore di cricket americano, e l’avevo fatto senza ledere l’idea che avevo di me stesso.”
Alcuni libri ti perseguitano. Ti inseguono. Si presentano di continuo finché non sei costretto a prenderli in mano e a leggerli.
Un paio di anni fa ero seduto in una caffetteria del Village tentando di leggere il New Yorker per darmi un tono intellettuale. Dopo qualche inutile sforzo per capire almeno il significato dei titoli, optai per una rapida occhiata alla pagina dei libri. Lì sono incappato per la prima volta in Netherland, di Joseph O’Neill. In copertina campeggiava l’immagine in stile ottocentesco inglese di una partita di cricket, ma con i grattacieli di New York sullo sfondo.
Da quel momento ovunque mi girassi vedevo cartelloni pubblicitari e recensioni entusiastiche, la più timida delle quali era “un capolavoro del dopo 11 settembre”. A costo di sembrare melodrammatico, ho avuto la chiara impressione che quel libro mi cercasse, che fosse stato scritto per me. Mi arresi però solo qualche mese dopo, a Londra, dove furbescamente lo comprai in un’edizione che costava il doppio di quella americana.
Confesso che fino all’uscita della versione italiana non mi riuscì di comprenderne benissimo tutte le sfumature, ma la persecuzione non era stata vana.
Hans van den Broek è un agente di borsa olandese, sposato con un’ Inglese e residente a Londra. Ricco e apparentemente sereno, decide di trasferirsi a New York per un tempo indefinito.
Lì incontra Chuck Ramkissoon, una sorta di Grande Gatsby di colore, che ravviva in lui l’antica passione per il cricket e lo porta contemporaneamente a uscire dalla dorata Manhattan per immergersi nella vita degli immensi e multirazziali quartieri periferici.
Ma l’11 settembre 2001 coglie Hans totalmente impreparato e mette a nudo tutte le crepe del suo matrimonio e della sua vita perfetta. Mentre la moglie torna in Inghilterra coi figli, lui si rifugia nel famigerato e assurdo Chelsea Hotel e per qualche mese fa il pendolare tra Londra e New York.
Ma gli irrisolti problemi coniugali si complicano e l’amicizia con Chuck, insieme alla rinnovata passione per il cricket, lo trattengono per un’intera estate nei campi del Bronx.
Proprio questo sport, legato sia alla sua infanzia, sia alla sua nuova vita, lo aiuta a conciliare quello che era, uno stanco provinciale europeo, con ciò che potrebbe essere, un Americano pronto ad afferrare la propria vita e a portarla in salvo.
Purtroppo da noi non ha avuto molto successo, ma questo libro è scritto da un Europeo, per degli Europei. Racconta molte delle cose che è bene sapere prima di partire per New York, e che non troverete nella Lonely Planet: la folle passione degli Americani per ogni genere di sport, il loro sconsiderato ottimismo e la loro capacità di riprendersi dalle tragedie; ma anche le infinite periferie e la segregazione razziale, la violenza e la facilità con cui si può crollare.
Ma La Città Invincibile è anche la storia di una famiglia messa a dura prova da una pur dorata emigrazione e dallo spaesamento che una città come New York provoca in noi piccoli abitanti del vecchio continente.
Se non avete fretta e siete nei pressi di Van Cortland Park, leggetelo seduti su una panchina: vi alzerete un po’ più americani.
La Città Invincibile e’ edito da Rizzoli e puo’ essere acquistato qui.
Tommaso Brambilla, globetrotter multilingue, si dedica alla scoperta del mondo una citta’ alla volta. Mandate una email all’autore del post all’indirizzo itommi@hotmail.it
quasi quasi lo leggerò!!
mi hai convinto… lo leggerò presto