Ieri mattina ero nel Queens per un tour e, all’unisono con i ragazzi che accompagnavo, ho sentito il bisogno di un bel caffè. Detto fatto, vicino ai Silvercup Studios, ho intravisto un’invitante insegna che recitava “Caffeina bar”: mi sono infilato subito all’interno, senza grandi aspettative.
Invece ho avuto un’autentica sorpresa: un vero bar italiano, con poggiapiedi e pressa per le pizze, ma soprattutto dolci, bibite e focacce dall’aspetto inconfondibilmente peninsulare. L’espresso era ottimo, ma i panini avevano un’aspetto addirittura sublime: in puro stile Autogrill, ma più gonfi e meglio farciti. L’impronta era tipicamente italiana e i tratti somatici del proprietario anche:
Per curiosità ho chiesto da dove venisse e, con non poca sorpresa, mi sono sentito rispondere che era originario di San Paolo del Brasile.
Allora ho insistito cercando di capire dove avesse imparato a fare dei panini simili: “da mio padre, italiano originario di Mantova.”
Per fortuna il mio sesto senso non mi aveva tradito: tutto il bar, pur piccolo, era pervaso da un’aria di casa nostra. In questi casi non riesco a fare a meno di pensare a quanti miliardi di fili attraversino il mondo e a quanto sia facile a volte incappare in nodi bizzarri. Così si incontrano una cittadina lombarda dalla storia illustre e una megalopoli sudamericana, in un quartiere di New York: nel Queens naturalmente, dove si parlano 138 lingue diverse.
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