Un appuntamento doppio. Prima al Museum of the City of New York (Upper East Side) e poi giu’ giu’ al Tenement Museum (Lower East Side). Due luoghi che raccontano due storie diverse, direi opposte, eppure due storie che si completano e che dicono molto di questa citta’ unica. Il mio tour parte nell’Upper East Side. Al piano terra del Museum of the City of New York e’ allestita una piccola mostra dedicata a “The American Style. Colonial Revival and the Modern Metropolis”. Non so davvero cosa aspettarmi – trovo che le mostre d’architettura siano le piu’ difficili sia per chi le fa sia per chi le visita – ma la recensione letta qualche tempo fa sul New York Times mi convince ad andare. Primo consiglio: invece di visitare subito la mostra (come ho fatto io), e’ meglio salire ancora di un piano e sedersi comodi nella saletta buia dove viene proiettato un video ben fatto, “Timescapes” (inizia ogni ora, ai minuti 15 e 45). Si ha di fronte la storia di Manhattan a partire dall’inizio del XVII secolo – quando era chiamata New Amsterdam ed era terra di olandesi – fino ai nostri giorni. E’ un racconto che va per tappe e che spiega molto anche della toponomastica attuale: il fiume Hudson deve il suo nome al navigatore inglese Henry Hudson che per primo esploro’ la baia di Manhattan; l’aereporto di La Guardia al sindaco Fiorello La Guardia etc…). Impressionanti sono i grafici che illustrano come la citta’ sia cresciuta in base alle vie di comunicazione – a partire da Lower Manhattan e Wall Street, dove arrivavano le merci dall’Europa e gli immigranti – con i famosi treni sopraelevati (ancora in uso a Chicago) che man mano sono stati trasformati nella nostra moderna linea metropolitana. Dopo le varie procedure e la quarantena, gli immigranti abitavano nella Lower Manhattan (per capirci Little Italy) in media otto anni. Poi facevano il salto specialmente verso i Queens e Brooklyn. Contemporaneamente, lungo le direttrici vicine a Central Park, insomma sull’Upper, si insediavano le famiglie piu’ ricche. Ed ecco che la mostra al piano terra cade a fagiuolo: “The American Style. Colonial Revival and the Modern Metropolis” da’ conto proprio della ambizione di un paese tutto sommato nuovo e “di tutti” nel dare vita ad uno stile proprio e allo stesso tempo evocativo rispetto a un passato comune, che non a caso guarda al mondo classico greco e romano per stile, motivi, proporzioni. Per me l’immagine chiave e’ la scuola americana: una struttura massiccia, con mattoni a vista, tetti rossi, finestre bianche quadrettate, colonne e pilastri. Una architettura che si e’ diffusa capillarmente sul territorio, e che fa sentire tutti a casa. In mostra i materiali sono vari, anche perche’ si e’ voluto sottolineare come questo stile abbia interessato tutta la produzione, compresi i servizi da te’, l’arredamento etc. Illuminante anche se un po’ stravagante e’ la presenza in mostra di un portone d’ingresso laccato rosso fiancheggiato da un ordine dorico con tanto di colonne scanalate e cornice aggettante. Questo portone, commissionato allo studio Peter Pennoyer Architects che ha curato anche l’allestimento della mostra (non mi fa impazzire) una volta smantellato andra’ a diventare il reale portone di una residenza in costruzione nel New Jersey. Questo per dire che lo stile colonial e’ ancora vivo e attuale.
Il museo offre una facile guida per scovare le architetture coloniali (tutte costruite nei primi anni Cinquanta) lungo l’Upper East Side, una passeggiata da fare!
Il divario abissale tra chi abitava nell’Upper East Side e chi occupava la Lower Manhattan documentato dalle foto d’epoca di J. Riis in Timescapes mi ha fatto rabbrividire. Per capirne di piu’ nel pomeriggio decido di andare al Tenement Museum nella Lower East Manhattan. Ecco, questo posto lo raccomando caldamente. Non esiste nulla di simile da nessuna altra parte e piu’ di mille libri e documentari fa capire quanto in passato fosse duro arrivare/resistere qui. Il Tenement Museum – letteralmente il museo della casa popolare o qualcosa di simile – e’ ufficialmente un museo, ma funziona come un luogo di ritrovo. Si arriva e, in base all’ora e alla disponibilita’ dei posti, si sceglie in quale tour inserirsi. Gruppetti piccolo, di gente che parla tutte le lingue. Io ho fatto il “Getting by” e di colpo mi sono ritrovata fisicamente catapultata in un’altra epoca, al buio, in spazi angusti e non proprio lindi. Si entra nelle case al nr. 97 di Orchard Street che hanno “accolto” gli immigranti a partire dal 1863, si toccano gli oggetti che facevano il loro quotidiano, mentre la guida racconta le storie di quelle famiglie di italiani, irlandesi, tedeschi che sono passati di la’. Storie tristi, di abbandono e miseria, storie di prevaricazioni, di sovraffollamento. E anche per questo non si puo’ non rispettare queste memorie e questi frammenti di vita cosi’ dolorosi. Questi luoghi meritano rispetto, e meritano una visita, e se posso dire davvero cosa penso, ecco credo che meritino una visita piu’ di tanti musei scintillanti e moderni, ricchi di finanziatori ma vuoti di umanita’. Il Tenement Museum ha un’anima e le va fatto omaggio. Esco e sono confusa – ecco, non andateci se volte fare qualcosa di spensierato – ma mi sembra di aver abbracciato un pezzo della citta’ “vera”.
Due mondi a contrasto che hanno contribuito a fare di New York la citta’ che conosciamo (e amiamo) oggi. Ognuno poi faccia le sue riflessioni.
PS: Il Museum of the City of New York ospita anche le fotografie di Camilo José Vergara su “The Twin Towers and the City” – un lungo reportage che documenta l’ossessione che l’artista cileno ha nutrito per le torri a partire dalla loro costruzione negli anni settanta fino alla loro distruzione. Siamo a dieci anni dall’attacco alle torri, e queste foto raccontano di come fossero “inevitabili” nello skyline urbano. Da vedere!
Diana Cesi vive e lavora a New York City. Si occupa di mostre, allestimenti, collezioni d’arte al di qua e al di la’ dell’oceano. Per lavoro e per passione visita musei, gallerie, case d’asta di ogni parte di mondo. Insomma fa del suo meglio, rigorosamente senza stress.
Molto interessante il racconto della tua visita, complimenti Diana, mi hai dato un ottimo spunto per una prossima visita.
Grazie, Gianluca