Luca Martera, giovane regista Italiano, ci racconta la sua avventura da espatriato a New York. Alla ricerca di un sogno finalmente realizzato.
To split significa in Italiano dividere. L’italianizzato splittare viene usato nel gergo del montaggio cinetelevisivo per indicare l’immagine divisa in due, come nelle scene romantiche dei film con i due piccioncini che parlano al telefono ognuno nel proprio appartamentino newyorkese.
To split traduce anche l’italiano fare la spola tra due luoghi e per estensione mi vien da pensare anche tra due stati mentali. Nel mio caso, quello italiano e quello americano.
Italiano perché sono nato nello stivale ma non l’ho scelto e americano perché non ci sono nato ma ho scelto di andarci. Rimanerci, si vedrà. Per il momento mi godo questo cambiamento totale di aria, lingua e continente per scrollarmi di dosso un po’ di cinismo romano e provare a dimenticare i piagnoni italici, eroi del “chiagni e fotti”.
Mi ci sono voluti due anni di preparazione per trasferirmi a New York perché non sono nato ricco.
Sicuramente è una cosa che ho agognato sin da ragazzino quando avevo non il semplice poster del ponte di Brooklyn ma l’intera parete ricoperta da un murale fotografico dello skyline di Manhattan. Adesso sono qui ma non è certamente il sogno che si realizza, preferisco chiamarlo obiettivo portato a termine.
Sono una persona molto concreta e credo anche un buon osservatore e quindi non considero la New York del 2011 come il migliore dei mondi possibili. Nei miei precedenti viaggi, le ho dedicato la mia attenzione da turista-viaggiatore-esploratore, ma adesso per me è diverso perché si tratta di lavorare e quindi viverla quotidianamente nei suoi pro e contro.
Il maggior pro è che gli Stati Uniti – nonostante sia il paese storicamente più pericoloso mai apparso sulla faccia della terra, se si tiene conto del numero di morti ammazzati in guerre, invasioni e colonizzazioni – ti permettono di affermare questa verità storica, senza timore di essere arrestato. Secondo: ci sono i banchieri cattivi, d’accordo, ma esiste anche la concorrenza vera e quindi la meritocrazia. Da freelance quale sono ho sempre sposato la massima “tanti padroni, nessun padrone” ma in Italia non è possibile perché i padroni si conoscono tutti e si mettono d’accordo per pagarti di meno.
Palma d’oro dei contro della mia speciale t-chart (così chiamano la lista qui negli USA) è l’impressionante mancanza di igiene di coloro che vivono a New York. E non sto parlando della solita nostalgia per il bidè che abbiamo solo noi italiani. Mi riferisco invece ai danni di una mancata educazione prolungata a casa dei genitori. Sì, perché se è figo andarsene di casa a 16-17 anni, non lo è altrettanto se non sei preparato alla vita nelle manifestazioni più elementari quando ti trovi in pubblico. Di cosa sto parlando? Se la casistica e la tipologia di zozzoni in circolazione nella “Grande Mela Marcia” è vasta, quello a cui ho assistito nella metro qualche giorno fa può aiutare a capire. Ore 15, linea L da Brooklyn a Downtown Manhattan, entra una coppia di amici attorno ai 25 anni, giganteschi, vitaminizzati e con regolare berretto da idiota con visiera all’indietro. Sfortunatamente a uno dei due si rompe una “ciavatta” (i tradizionali sandali a infradito “flip-flop”) e per un’altrettanto sfigatissima coincidenza si blocca la metro che, nel fine settimana, accumula ritardi manco fosse la Circumvesuviana e per almeno 10 minuti mi tocca avere uno sguardo ravvicinato del primo tipo con questo maiale, perché il vagone è ovviamente affollato come un carro bestiame (vi ricorda la metro A di Roma? Peggio!). Il tizio, con una noncuranza tipica di chi non ha mai ricevuto schiaffoni da mammà in tutta la sua vita, cerca in tutti i modi di trovare qualcosa per riparare il sandalo dello scandalo, mostrando i suoi piedi lerci e toccando con le mani praticamente qualsiasi cosa. Mossa a pietà, una balena nana, nel senso di una donna verticalmente svantaggiata ma dalle dimensioni callipigee, gli regala una spilla da balia per farlo ritornare alla civiltà. Per la cronaca: il tizio era gay e la balena una nera. Due dati di nessuna importanza, ma che anche l’ultimo dei giornalisti italiani avrebbe indicato perché non possono farne a meno.
Strettamente connessa alla carenza di igiene dei newyorchesi (che non significa nulla, perché si tratta di gente proveniente da tutto il mondo) è la loro proverbiale indifferenza, che per me invece significa vivere come zombi. Sempre giorni fa mi è capitato di imbattermi in una signora di 50 anni che andava a spasso per Park Avenue con le zinne (tette, per i non romani) di fuori e un paio di baffi a manubrio disegnati sul suo viso. Dando per scontato che fosse la solita freak, ho concentrato la mia attenzione sui passanti vicini e nessuno, dico nessuno, era così vivo da farsi una risata a bocca aperta come ho fatto io. E’ triste ma la maggior parte dei newyorchesi sono appunti “living dead” che ritornano a vivere solo con un’iniezione di alcool nelle vene.
Per il mio lavoro, tuttavia, è materiale umano di prima scelta. Sto lavorando infatti a una sketch comedy – nello stile di “Little Britain” – basata sulle differenze culturali tra europei e americani e l’igiene è uno dei temi più divertenti, oltre a come ordinare correttamente il giusto espresso tra le 100 ciofeche elencate nel menù di Starbucks, come evitare di rovinare i tuoi capi bianchi causa negligenza dell’addetta semiritardata della lavanderia coreana sottocasa e come trovare il giusto roomate tra gli stalker abituali che frequentano Craigslist.
Scherzi a parte, sono a New York perché non ho trascorso la maggior parte della mia vita a tavola e perché non ho alcuna intenzione di aprire un ristorante. Mi accontento di affermarmi come regista e sceneggiatore comico per raccontare a questi adoratori dello sciroppo d’acero e del giorno della Marmotta quanto paiono strani agli occhi decadenti di un italiano anti-italiano tendenza Cosmopolitan come me.
BIOGRAFIA DI LUCA MARTERA
Nato a Taranto nel 1973, inizia a lavorare nel settore audiovisivo nel 1997 come analista dell’archivio multimediale della Rai. Nel 2000 cura il volume “Lo spettacolo in tv ovvero la tv è meglio che farla che guardarla” (Dino Audino Editore) con la prefazione del critico televisivo del “Corriere della Sera” Aldo Grasso. Dal 2002 comincia a lavorare come autore e regista tv di documentari e monografie sulla storia dello spettacolo italiano, realizzando da freelance circa 50 tra speciali e serie tv in tutti i generi per Rai-Mediaset-La7-Raisat, e collaborando tra gli altri con Giovanni Minoli (La storia siamo noi), Antonio Ricci (Striscia la notizia), Enrico Mentana (Matrix) e Piero Chiambretti (Chiambretti Night). Nel 2009 scrive, produce e dirige il suo primo film indipendente, low-budget e girato in digiitale dal titolo “Sexual Radar”. Il film non ha trovato distribuzione in Italia ma è stato venduto a una società di Los Angeles per farne il remake americano. Dal luglio 2011 vive a New York, dove realizza servizi, documentari e lavori di consulenza per società di produzione televisive e cinematografiche italiane. Attualmente, è impegnato nella produzione di due documentari per il programma “La Storia siamo Noi” di Giovanni Minoli dedicati il primo alla vita di Fiorello La Guardia e il secondo alla poco conosciuta emigrazione italiana negli Stati Uniti dal 1800 al 1861. Sempre nel 2011, lancia “ReCutUp”, una startup legata alla creazione di contenuti originali per il web, per la quale sta cercando investitori italiani e americani. Il suo obiettivo è lavorare come showrunner per la rete tv via cavo americana, HBO.
Ciao Luca, articolo divertentissimo e condivido in pieno le tue annotazioni, ho avuto incontri simili nei miei viaggi newyorkesi, ma vorrei che mi spiegassi meglio questa frase:
“un italiano anti-italiano tendenza Cosmopolitan”
Che significa? Sei italiano solo perchè sei nato qui ma non ti senti tale e allora sei cittadino del mondo? Onestamente non lo capisco…perchè se è così come lo traduco io….credo che tu debba essere orgoglioso di essere italiano, infatti è per le tue origini se hai acume, creatività, senso dell’umorismo, capacità di adattamento, che ti faranno sicuramente fare la differenza in una città non facile come NYC, origini che non si può sognare nessuno. Cerchiamo di non buttare a mare le nostre radici culturali, perchè se l’italiano all’estero ha successo, lo ha anche perchè siamo 100 anni luce avanti rispetto agli altri grazie al fatto che siamo come siamo, certo nessuno è perfetto e in questo periodo si fa fatica a sentirsi italiani e a vivere in Italia, lo ammetto….se poi ho male interpretato, scusami…
Complimenti per il video ReCutUp, molto ben fatto, innovativo….all the best.
Gianluca
Caro Gianluca, grazie per i complimenti. Socrate, quindi ben prima dell’Impero Romano e della Chiesa, predicava il cosmopolitismo e si dichiarava cittadino del mondo. Cosi’ mi sento io perche’ perche’ sono curioso e appassionato di storia e quindi so che ogni popolo e’ il risultato di una contaminazione, nonostante l’artificiale divisione in razze, confini e lingue. Detto questo, gli italiani hanno sempre dato il meglio di se’ come individui e MAI come popolo. I nostri vizi nazionali – corruzione e ipocrisia – hanno 2000 anni proprio come la Chiesa Cattolica (toh, che coincidenza!) e purtroppo anche qui negli Stati Uniti parto svantaggiato perche’ sono onesto e quindi poco italiano. Non e’ una semplificazione qualunquistica, la maggior parte degli italiani e’ propensa al malaffare e non sa cos’e’ il vivere civile, a partire dal comitato di quartiere. Non e’ pessimismo, ma realismo. Sono nato nato e cresciuto in una citta’ stuprata dagli industriali del nord, dalle amministrazioni del sud e da coloro che ci vivono che pensano solo a loro stessi. Luca
Ciao Luca,
Lasciamo perdere tutto, Impero Romano, Chiesa, che per l’amor del cielo hanno fatto cose buone e cose meno buone…..diciamo anche pessime, nel corso dei secoli, anche se sui romani mi permetto di dirti che a parte la schiavitù (che peraltro va inquadrata in un contesto storico particolare, non che l’approvi, ma dobbiamo anche capire in che epoca eravamo), che oggi ovviamente è fuori dai nostri schemi per fortuna, hanno introdotto nella propria società delle vere rivoluzioni, che poi il medioevo ha cancellato, per poi arrivarci di nuovo non prima del XVIII° secolo, cito ad esempio la possibilità che le donne romane di divorziare, e continuare ad essere indipendenti senza essere buttate in mezzo ad una strada dal Pater Familias, o addirittura di buttare fuori di casa i propri mariti senza tanti complimenti, o la possibilità di votare. Comunque, non credo che la maggioranza degli italiani sia gente di malaffare, il pb è che se i pochi hanno più visibilità dei molti, accade la stessa cosa che è accaduta tempo fa, per cui c’era l’assioma italiano->pizza->mandolino->mafia…..e che palle!!
Ora non è che gli USA siano meglio di noi a nefandezze, ti basta guardare la loro storia, quindi alla fine non esiste il mondo perfetto. Il punto di discussione, non è su questo, il punto è sentirsi anti-italiano, perchè per quanto possa condividere parti della tua replica, è indubbio che c’è gente qui che ha come unico obiettivo il fregare il prossimo e vivere se è possibile al di sopra della legge, essere anti-italiano significa secondo me qualcosa di diverso….significa detestare il nostro popolo e per quanto possiamo essere imperfetti…..l’odio per un popolo è un sentimento molto forte……non so se riesco a spiegarmi. Magari la prossima volta che vengo a NY ci facciamo due chiacchiere sull’essere italiani sia qui che li, che sicuramente non è un mestiere facile di questi tempi!
Un abbraccio e se ti serve un aiuto regista, attrezzista, porta tutto (tranne le borse, te lo dico subito così sgombro il campo da strane idee), fai un fischio che ci vengo a darti una mano.
P.S: Conosco bene “Little Britain”, lo seguivo quando ero a Londra, e anche qui su SKY qualche volta la trasmettono, sono demenziali, molto humor anglosassone, ma divertenti, molto divertenti, secondo me un confronto italo-americano viene uno spasso….se pensi a quante risate (nel tuo intimo, perchè vagli a dire qualcosa al bestione con l’infradito) ti fai, a vedere queste cose in giro per NY.
ehm ehm…e che dire dell’abitudine (comune anche a Londra) di cambiarsi le scarpe tra metropolitana/ufficio (o qualunque altro appuntamento) e poi mettere il paio tolto nella borsa, senza alcuna protezione (anche na semplic busta di plastica) e – dalla stessa borsa – uscire la mela da mangiarsi subito…ehm ehm…va beh…quando ero piccolo giravamo l’europa in camper…in un campeggio vicino Londra mia mamma raccontava, sconvolta, come le inglesi riempissero il lavandino (quelli…e sono molti anche a NYC…senza il miscelatore, quindi con i due rubinetti acqua calda/fredda separati) con acqua appunto a temperatura ideale…ci si lavassero prima i piedi…poi il seno e le ascelle ed infine faccia e denti…no comment… 😉
@Gianluca. Rispetto il tuo punto di vista, ma se proprio dobbiamo parlare per cicli storici, quello che sta vivendo l’Italia è forse quello definitivo, cioè quello votato all’estinzione delle sue genti. “Meno nascite, più vacanze e seconde case”, potrebbe essere lo slogan. Forse è pura avanguardia nichilista questo eterno Satyricon made in Italy, in attesa che il global warming diventi più cattivo e ci inondi tutti. Nel frattempo, si tratterebbe di salvare la faccia ma gli italiani, a differenza di greci, spagnoli, francesci, inglesi e tedeschi, hanno poca dignità perché per marciare e protestare devi crederci e quindi essere ancora puro di sguardo. Dovrebbe venire dai ventenni la speranza ma non attraverso i meetups di Facebook ma quotidianamente sensibilizzando il sensibilizzabile.
ciao luca complimenti per il coraggio gli italiani siamo I migliori del mondo e ammirati da tutti.senti sono siciliano in regola negli usa,sono un fotografo da 20 anni ,mi chiedevo ti serve un aiuto da buon italiano .grazie ciao e buon lavoro